The KVB, Live @MONK Roma (Roma, 05/12/2024)

Reportage del live del duo britannico The KVB al MONK, Roma. Tra coldwave, pigli industrial e svisate noise.

The KVB, Live @MONK Roma (Roma, 05/12/2024)

Avevamo avuto modo di ascoltare i KVB nel 2022, a Casalecchio di Reno (Bologna). In quell’occasione il duo britannico aveva aperto le danze per gli Editors, freschi dell’ultimo, controverso lavoro, “EBM”. E già in quella mezz’ora Nicholas Wood e Kat Day avevano confermato di sapersi muovere agilmente tra lo spleen gotico del post-punk, pigli industrial e svisate noise. 

Ma è in un contesto più intimo, quando le luci sono basse e il pubblico pronto a lasciarsi lacerare dall’oscurità, che una band come The KVB offre il meglio di sé. Giovedì 5 dicembre Wood e Day si sono esibiti al MONK, storico locale romano, portando in scena sia la loro ultima fatica, “Tremors”, che i classici del repertorio. Miscelando a dovere un’estetica dedita all’architettura brutalista, già presente nella copertina di “Tremors”, con sonorità oscure portate al parossismo, Wood e Day hanno saputo attraversare - nel live come nella loro carriera - una moltitudine di influenze, mantenendo ben saldo il temperamento noir anche nei momenti più ballabili (“Unbound”) o dediti alle stravaganze eighties (“Above Us”, “Medication”).

Ci si lascia, pertanto, ammaliare dal riff ipnotico di “Labyrinths”, dai synth di “Captives”, che ricalcano certi manierismi di Gary Numan, passando per le tensioni coldwave, assai rappresentative della band, dell’ottima “Always Then”. C’è poi spazio per un ritorno agli esordi abrasivi del duo con “Never Enough”e per i bagliori esoterici di “Shadows”, che strizza l’occhio alla neo-psichedelia, ma anche per perdersi nelle catarsi gotiche di “Hands”, che passa dai Joy Division al noise con una naturalezza che non può lasciare indifferenti. 

I suoni dal vivo si fanno più tracotanti, con i ganci melodici delle canzoni che si intorpidiscono per lasciare spazio ai synth, che avvolgono lo spazio e i pensieri dei presenti, mentre la chitarra si scopre ancora più rumorosa e sferragliante.

La conclusione è affidata, come da tradizione, alla potentissima “Dayzed” che, come asserito dalla stessa Kat Day, è la preferita del pubblico. Sarà perché dal vivo le texture notturne di synth e chitarre diventano puro noise, tracimante, sfibrato, eccessivo. E per questo, bellissimo.

wake up è un contenitore musicale che si estende al di fuori dello spettro emozionale puramente shoegaze/dreampop esplorato dagli autori.