L'esordio dell'anno: Daydream Twins

Nel suo incredibile esordio, la band texana ci accompagna in un universo psichedelico dalla tavolozza dorata, illuminato da rintocchi shoegaze ed echi di nostalgiche tessiture dreamy

L'esordio dell'anno: Daydream Twins

Anno di pubblicazione: 2022
Genere: shoegaze, psichedelia, dreampop

Secondo il Perì Hýpsous, l’attitudine a concepire pensieri grandi è la prima qualità del sublime, laddove per “sublime” s’intenda una bellezza interiore e morale in grado di riverberarsi in ogni cosa. Ogni qualvolta mi approccio all’esordio discografico dei Daydream Twins non posso far a meno di pensare a questa idea del sublime, nella sua valenza prettamente filosofica di arte in grado di ammaliare solleticando le corde emotive del pathos. Daydream Twins è infatti un disco di purissimo sehnsucht, in cui la band texana ci accompagna in un universo psichedelico dalla tavolozza dorata, illuminato da rintocchi shoegaze ed echi di nostalgiche tessiture dreamy. Non mancano le incursioni nell’indie più ispirato e nel bedroom pop, ben udibili nel singolo di successo Carpop – registrato, non a caso, nella camera da letto di Jordan Terry con il solo aiuto di una versione obsoleta dell’applicazione GarageBand.

È proprio il trionfale rigoglio sincretico il punto di forza di quest’album: in "Sex In The Desert" i Pink Floyd di Breathe incontrano la Lana Del Rey più maliziosa, mentre "Cerise" - uno dei guizzi del disco - è un inno alla libertà in cui convivono gli Alvvays e i My Bloody Valentine. Qui i mulinelli di chitarra di Aidan Babinski si stagliano solidi e possenti sulla vocalità onirica e contemplativa di Jordan Terry che in "Cerise" offre forse la performance shoegaze migliore dell’intero disco. C’è spazio anche per fluttuazioni madchester in zona Ride con la dinamica "SunnMaschine" e per i riverberi densi e gli overdrive di "Blast" che, giocando sapientemente tra distorsione e melodia, richiamano molto da vicino le sperimentazioni rumoriste degli Astrobrite di "Deluxer". È tutto un brulichio dalla straordinaria eleganza incantatrice, ma non si pensi che Daydream Twins sia frutto del desiderio di riconoscere più che di quello di conoscere, perché la coppia sa bene cosa intende rappresentare con la propria musica e come farlo, senza mai un deragliamento o uno scadimento di tono, secondo un proprio personalissimo iter che pure, come s’è visto, è frutto di tante intercettazioni musicali.

La parte finale di quello che si fa fatica a credere un album di esordio, diviene il manifesto contenutistico del progetto Daydream Twins con una tripletta che è una sbornia psichedelica in piena faccia: "Guthrie’s trip into the space continuum" e "Between the spacetrains and me" tratteggiano dolci allusioni dream-pop abbandonandosi a melodie sognanti e ipnotici torpori lisergici. Sono poesie d’amore che emergono dalla caligine e ci proiettano nel cinema dei ricordi e delle emozioni, un abisso onirico di cui è impossibile cogliere i confini, tra uggiosa felicità e suggestioni di speranza. Dal canto suo, "Swish" riesce a condensare ogni singola peculiarità dei Daydream Twins con precisione e lucidità: le chitarre circolari, puramente shoegaze, si intersecano con la sezione ritmica sincopata e psichedelica, laddove il nucleo melodico e il cantato si rifanno all’immaginario contemplativo del dream pop. Ogni cosa è al posto giusto. È in questo impasto sonoro che ogni bruttura del mondo sembra dissiparsi, seducendo l’ascoltatore fino al disincanto catatonico, fino a che i pensieri non esplodano in visioni strabordanti e miracolose e gli occhi non si inebrino di cascate a colori. Fino a che, insomma, la musica diventi il tutto e si perda il contatto col mondo circostante: il sublime nella sua forma più cristallina.